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Tutto nasce da un volto disegnato nel cielo: un’apparizione, il Volto, che divide, confonde, accende l’attesa creando scompiglio.
È da lì che si apre la frattura: tra fede e incredulità, tra parola e nuove spiritualità, tra il desiderio di credere che qualcosa possa nuovamente accadere e la paura di essere ingannati.
Don Luca, giovane prete che narra la vicenda, è il cuore di questa storia: è dalla sua voce che sappiamo ciò che accade in questa città italiana che nome non ha.
Vive una duplice crisi: quella della vocazione e quella dell’amore. È innamorato di Marta, una giovane donna che non ricambia, rotta e “rimontata senza libretto di istruzioni”, e questa passione impossibile gli scardina dentro tutto ciò che credeva saldo. Il suo Dio tace, la preghiera si svuota di senso e l’unico linguaggio possibile sembra diventare quello della assenza.
Fabrizio Sinisi nel suo esordio narrativo, Il prodigio in libreria per Mondadori, costruisce un romanzo che ha la densità di un testo teatrale (nasce da lì e poi diventerà altro) e la verità spietata di una confessione: la sua, le nostre.
La sua scrittura è incandescente, piena di fratture quasi come se ogni frase volesse tenere insieme il sacro e il corpo, la colpa e la grazia.
C’è molto di “Aspettando Godot” in questo libro: l’attesa che qualcosa accada, che qualcuno arrivi, che il divino si mostri davvero. Ma come in Beckett, ciò che resta è il vuoto fertile dell’attesa stessa, quella sospensione che diventa sostanza di vita.
E c’è anche l’eco di “Cecità” di Saramago: la luce che abbaglia fino a non vedere più nulla, la fede che si fa opaca, il senso che sfugge proprio mentre lo si cerca.
“Il prodigio” non offre risposte ma ci interroga sulla nostra fame di segni, sul bisogno di credere che qualcosa o qualcuno ci salvi.
È un romanzo che brucia lentamente e quando si spegne lascia nell’aria quella domanda che nessuno sa dire ad alta voce: cosa resta della fede, quando l’amore manca?
Consigliato ⭐

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